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Le tradizioni felittesi

Le tradizioni legate al ciclo della vita
La parola tradizione deriva dal latino “tradere” che significa trasmettere, anzi il Battista afferma “memoria dei fatti o cose antiche tramandate oralmente”. La memoria dei fatti, delle abitudini, degli usi e dei costumi talvolta risale a molti secoli fa, anzi millenni.
L’industrialismo e il conseguente consumismo hanno radicalmente mutato gli aspetti e le usanze della nostra civiltà contadina. Se una persona morta cento anni fa potesse miracolosamente affacciarsi al mondo avrebbe di che meravigliarsi. Basterebbe dare una sguardo ai mestieri per rendersi conto che molti di essi sono scomparsi oppure ai rituali che accompagnavano tutti i momenti della vita.
La fecondità della donna, ad esempio, era ed è considerata come un dono della Divina Provvidenza e come tale la santa più invocata è Sant’Anna. Oltre alla religione, la donna si affidava a riti magici. Nel periodo della gestazione la donna infatti doveva rispettare delle norme come quella di non portare collane o catene, di non tessere matasse, in quando il parto poteva essere diffìcile perché compromesso dal cordone ombelicale. Nel quadro di queste usanze rientrano “le voglie” che durante la gestazione esigevano riguardi speciali tanto che fu stabilito nel capitolo XII dello Statuto di S. Arsenio un articolo che considerava l’asportazione di un frutto dalla proprietà altrui da parte di una donna incinta solo un puro atto soddisfatto e non un furto.
Altre credenze vigevano, come quella della preveggenza del sesso del nascituro che era legato al detto; “panza pizzuta prepara lo fuso, panza chiatta prepara la zappa”.
Anche il parto aveva le sue regole. Al momento dell’atto:
allontanare le donne le cui sopracciglia si uniscono;
purificare il neonato con un bagno di acqua e vino;
legare al vestitino bianco lo vurziddo, una specie di amuleto contro il malocchio;
appendere al collo un cornetto, oppure una medaglia con l’immagine della Madonna.

Il fidanzamento
La seconda tappa del cammino dell’uomo era in fidanzamento. L’occasione per il corteggiamento era data dall’incontro casuale alla fontana pubblica, al Mercato, alla Fiera, alle Feste Patronali, alle Feste Nuziali, ai Battesimi, alle Veglie Funebri, all’uscita della Messa, ecc.
In tale circostanza aveva luogo il primo approccio conoscitivo per poi far seguire la dichiarazione d’amore attraverso un’ambasciatrice o una serenata.
La serenata era la dichiarazione più comune. Consisteva nel recarsi sotto la finestra dell’amata la quale, se era interessata, spalancava la finestra e lanciava un fiore colto all’istante nel vaso posto sul davanzale.
Al fidanzamento seguiva l’ufficializzazione.

Le nozze
Al giorno delle nozze precedeva quello del trasporto solenne della biancheria dalla casa della sposa a quella dello sposo, attraversando le principali vie del paese. A questa festa partecipavano in maggioranza donne, che commentavano in positivo o in negativo la qualità della biancheria o del ricamo artistico su di essa effettuato. Il giorno delle nozze era costituito da due momenti: quello Antimeridiano e quello Pomeridiano. II momento Antimeridiano era caratterizzato dal pranzo nuziale offerto dalla sposa a tutti i parenti. Il momento Pomeridiano era il fulcro della celebrazione sacramentale del matrimonio. Così verso il tardo pomeriggio i parenti della sposa confluivano in casa della festeggiata mentre i parenti dello sposo in casa del festeggiato. Raggiunta l’ora fissata, lo sposo e i suoi parenti, dopo aver brevemente consumato qualche pasticcino, in massa si recavano a prelevare la sposa per condurla in chiesa e insieme i parenti tutti si recavano seguivano la sposa, portata a braccio dal padre.
Celebrato il rito matrimoniale gli sposi uscivano dalla chiesa e si portavano a casa dello sposo, formando un lungo corteo, accompagnandolo con lancio di confetti, monete e fiori.
Ad attendere gli sposi alla porta di casa vi erano i genitori dello sposo, con caffè, rosolio e dolci. Dopo uno scambio di rito, si entrava in casa dove avveniva il consueto ricevimento con dolci e paste. La festa aveva fine con balli e danze. AI mattino successivo le madri degli sposi si recavano in camera ad offrire il caffè o il rosolio ai festeggiati e per rifare il letto e constatare i segni dell’avvenuto connubio ed avere le prove della verginità della sposa.

La morte
Anche la morte non sfuggiva a quella ritualità magica e superstiziosa. Infatti il canto di una civetta, di un gufo o l’ululato di un cane, in una notte buia, nelle vicinanze di un vecchio o di un ammalato grave creava panico e paura nelle famiglie. Tale momento preludeva la morte del degente o del vecchio. La morte era ed è un momento tragico della vita. Avvenuto il decesso, i primi atti da compiere erano quelli di pulire e vestire il defunto, ponendo il Rosario tra le dita e il cappello ai piedi se maschio.
Una volta adempiuto questo primo atto, si passava all’annuncio funebre, che consisteva nel suonare a morte le campane della Parrocchia. All’accorrere della gente seguiva il pianto funebre dei familiari. Appena adempiuto il rito esequiale e il trasferimento al cimitero del defunto, si accompagnavano a casa i familiari dando loro le condoglianze, a cui seguiva l’avvio del cuonsolo o convito funebre, per tutto il periodo del lutto stretto di otto giorni.
I segni di lutto erano riservati anche alla casa come edificio con l’abbrunare con un nastro nero l’ingresso dell’abitazione per un mese.
Ai familiari era riservato un segno di distinzione, facendo indossare l’abito nero alla donna e all’uomo la fascia nera sul braccio sinistro e il bottone nero all’occhiello, nonché la cravatta nera alle classi più agiate.
La cultura popolare dava grande importanza alle manifestazioni esteriori per cui certe usanze erano ben curate e attentamente osservate.

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